Novara, via Verbano 271 c.a.p. 28100
+39 3713874050
info@circolodel53.com

Ricordi di volo – collisione Cap. Caranti

Circolo del 53

8 febbraio 1968, Aeroporto militare di Cameri, sede del 21° Gruppo Intercettori su F104G. Nominativo “Tigre”.

È sera, un fronte caldo ha lasciato al suolo bassa visibilità, pioggerellina fine, copertura molto bassa.

Sul raccordino alla testata nord, lato ovest della pista, riposano sotta la luce resa fioca dalla pioggia i quattro velivoli d’allarme. Due sono pronti al decollo in 5’, gli altri due in 30’. Si intravvedono a bordo i caschi tigrati appoggiati sopra la cloche. I velivoli sono stati prevolati dai piloti d’allarme alla mattina che vi hanno lasciato a bordo il paracadute (il seggiolino per il lancio in emergenza del tipo C-2 prevede che il pilota porti a bordo il paracadute e sarà rimpiazzato dal Martin Baker solo qualche anno dopo), il casco, la check list, ed il Flip (la versione militare tascabile del Jeppsen con le procedure degli aeroporti militari).

Seggiolino eiettabile Lockheed C-2

Sono armati con due missili Gar8 a ricerca infrarosso al posto delle taniche. A fianco di ciascuno, collegati ai velivoli, un generatore di corrente che tiene alimentato il riscaldamento della piattaforma inerziale ed il gigantesco Atlas che fornirà aria compressa per la partenza della turbina.

All’improvviso il buio e il silenzio vengono squarciati dai 15 metri di fiamma del postbruciatore di due velivoli che decollano separati di cinque secondi. Appena staccati spariscono nelle nubi e ritorna la pace ed il buio.

Il 21° Gruppo questa sera, come quasi tutte le sere della settimana, ha voli notturni.

I due velivoli appena decollati sono partiti su scramble, la loro missione sarà quella di intercettare con zoom attack un velivolo target partito in precedenza. Il target volerà a Mach 1.7 a 48.000 piedi, gli intercettori voleranno a Mach 1.9 a 36.000 piedi. Acquisito il bersaglio sul proprio radar il fighter, seguendo le indicazioni dello schermo, impennerà il velivolo e quando sarà alla corretta distanza ed i cerchi del lock on sul radar e sul blindovetro si restringeranno, simulerà il lancio del missile e romperà con una brusca virata allontanandosi.

Radar NASARR velivolo F-104

A bordo del primo velivolo c’è un pilota in addestramento, il Sten. Burello, un giovanissimo friulano molto tranquillo e taciturno; è al Gruppo da poco ed è già in una fase avanzata di addestramento per la combat-readiness. Non sa che per un difetto il suo radar non manderà in chiusura i cerchi sullo e-scope e sul blindovetro al momento corretto per il lancio del missile.
II numero due che lo segue e lo consiglia è il Sten. Bertozzi, giovane (23 anni) ma ormai navigato veneziano del Lido, appassionato, sbruffone e bravissimo pilota.

Pattuglia Acrobatica Lanceri Neri su velivoli F-86E

Il target è il Cap. Caranti, figura carismatica, il pilota più anziano del Gruppo ed ex pilota della Pattuglia Acrobatica dei Lanceri Neri.
È responsabile dell’addestramento dei giovani piloti. Quando scherzando gli dicevamo che ormai era troppo vecchio per volare sul 104 (41 anni); reagiva dicendo che se fosse successo qualcosa lui si sarebbe sparato fuori più veloce della luce. Non sa che quella prontezza questa notte gli costerà la vita. In sede di briefing quella sera avvisava il Sten Burello che avrebbe dovuto seguire bene il radar perché lui, al momento giusto, avrebbe spento il postbruciatore per non farsi inseguire a vista; e cosi farà.

In palazzina allarme i due piloti pronti in 5 minuti con due crew chiefs e due armieri attendono la cena. Indossano la tuta da volo, il salvagente ascellare e portano agganciati alle scarpe da volo gli speroni. Sono appendici metalliche a forma di sfera vuota che dovranno agganciarsi a bordo a due sfere piene collegate a due cavi che escono dal seggiolino e che, in caso di lancio, ritrarranno le gambe del pilota evitando che queste vengano spappolate dal cruscotto durante l’abbandono dell’abitacolo.

Essi sono un capitano, il sottoscritto ed il Sten. Cappelleri, un bravo, allegro ed entusiasta pilota calabrese.

Suona l’allarme: una sirena ed una luce rossa lampeggiante che sarà poi seguita da un avviso sulla linea calda che collega il centro radar responsabile, le sale operative e la palazzina allarme. Tutti partono senza stare a sentire il messaggio sulla linea “calda”. Cento metri di corsa che ti lasciano senza fiato e con l’adrenalina alle stelle, cinque gradini della scaletta con il cuore in gola, aggancio degli speroni al seggiolino (riesce bene dopo un minimo di cento voli), selettore della piattaforma inerziale su “Align” e contasecondi (l’allineamento rapido della piattaforma richiede 90 secondi e permetterà l’uso in volo dell’orizzonte artificiale che ha movimento libero di 360° in tutte le direzioni).

Piattaforma inerziale LITTON LN3 velivolo F-104

Gli armieri mettono in moto gli Atlas mandandoli su di giri ed il crew chief sta al tuo fianco; sono manovre coordinate e precise, frutto di allenamento costante. Ti aiuta ad allacciare il paracadute, le bretelle del seggiolino e comincia la procedura della messa in moto. Quando tutto è a posto ti dà una pacca sulla spalla guardandoti mentre ti agganci la maschera del casco. E’ l’ultimo contatto umano prima dell’infinito; vorresti dirgli ”resta con me fratello, non lasciarmi solo”. Ma i pensieri stanno già correndo avanti, chiudi il tettuccio, rimuovi la spina del seggiolino, la mostri e con i pollici alzati richiedi di rimuovere i tacchi. Il seggiolino C-2 contrariamente al Martin Baker che ne aveva due, aveva una sola maniglia per il lancio alla base del sedile, (ne sa qualcosa Arpino, recente Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, quando giovane capitano, perso un flap, centrifugato sul tettuccio con il velivolo che ruotava vorticosamente, riusciva ormai prossimo al terreno ad afferrare la maniglia con un dito, che si fratturava ma che attivava i razzi, sparandolo verso la salvezza.).

Il velivolo si muove ed intanto la radio entra in frequenza (sono passati 60 secondi da quando sei saltato a bordo). Con la voce mozzata ancora dal fiatone abbozzi un “Cameri tigri rosse su scramble”. La risposta è immediata “Tigri rosse stop scramble, stop scramble”. Come se ti avessero tolto un macigno dal cuore stoppi il velivolo, spegni il motore, via il casco, spine, ti sleghi e scendi. In quel momento di nuovo sirena e luci dì scramble. Cosa era successo?

Era successo che nella palazzina del Gruppo, il Ten.Col. Pasini, anziano pilota torinese, manager brillante e Capo Ufficio Operazioni del 21°, seguendo per radio l’intercettazione aveva ricevuto il May Day del fighter 2 il quale, colpito da detriti durante la corsa supersonica, era riuscito a guadagnare in qualche modo il controllo del velivolo dopo aver perso quota e velocità ma non conosceva i danni e chiedeva aiuto. Senza indugio Pasini azionava i pulsanti della sirena per lanciare la coppia di allarme ma alla Sala Operativa di Stormo, l’Ufficiale di servizio il Cap. Caporossi, sentendo la sirena ma non avendo nessun riscontro dal Centro radar, stoppava lo scramble nel timore che succedesse di nuovo quanto successe il precedente Natale quando la coppia d’allarme alla richiesta telefonica del M.llo di mensa di far partire la campagnola di servizio alla palazzina allarme per ritirare il pranzo, con una frase sicuramente infelice del tipo ”siete pronti?, partite!”, comprendeva “partite per scramble” e partiva con i velivoli; essendoci poi un nebbione feroce, atterrava a Rimini, ed il Natale in palazzina allarme lo passavano lo scrivente ed il Comandante di Stormo, (coppia pronta in 30 minuti, passata in 5 minuti).

Dopo una rapida spiegazione telefonica Io scramble veniva riordinato.

A questo punto i velivoli si erano già mossi ed i carrelloni erano troppo distanti; perciò, scartata l’alternativa di spingere i velivoli indietro, armieri, crew chiefs e piloti ci mettemmo a spingere gli Atlas, che comunque erano bestie da 2 tonnellate.

Avremmo fatto a meno della corrente esterna e questo ci avrebbe penalizzato o il tempo di reazione o la funzionalità della piattaforma inerziale. Infatti, la corrente a bordo sarebbe arrivata solo quando il velivolo sarebbe stato in moto e a quel punto il tempo per l’allineamento rapido della piattaforma e quindi dell’orizzonte artificiale non ci sarebbe stato.

Di nuovo a bordo, messa in moto e corsa verso la pista. Il numero due denuncia ”Instruments on emergency power”. Il generatore a frequenza fissa non è entrato in linea, così pure a me.

Parto da solo, userò l’orizzonte di emergenza che a quei tempi era un cosino nero messo a lato del cruscotto, come quello che potrebbe avere oggigiorno un vecchio PA 18.

185kts, ruotino alzato, carrello dentro immediatamente o non rientrerà più completamente perché l’accelerazione è così grande che la resistenza dell’aria impedirà la chiusura degli sportelloni. Flaps dentro e accelerazione a 550kts. L’aeroplano vuole salire e a noi sembra di salire perché i sensori dell’equilibrio nel nostro orecchio, che sono dei pelini immersi in un liquido viscoso, per l’accelerazione si piegano all’indietro come fossimo in salita (sono quelli che quando beviamo troppo alcool si muovono con più libertà perché il liquido si diluisce e perde viscosità e noi, l’equilibrio).

A fine pista la virata più faticosa della nostra vita, 30 gradi a destra per evitare l’abitato di Cameri, con il velivolo in accelerazione che non ha nessuna voglia di girare, cambio frequenza dalla TWR al CRC Puma (Centro di Riporto e Controllo) e poi il naso su, 35 gradi sopra l’orizzonte che percepiamo come 90 gradi a 36.000 ft. di salita al minuto. Quell’orizzontino aiuta proprio poco; fortunatamente le nubi del fronte caldo non sono mai molto alte ed in effetti, dopo pochi secondi, sono fuori a 15.000ft. Notte scura, cielo nero e stellato. Puma mi fornisce una prua per incontrare l’obiettivo e riconosco in frequenza la voce di Bertozzi, dice non sa cosa sia successo, ha grossi danni e desidera un confronto con le indicazioni degli strumenti di bordo. Gli chiedo che quota pensa di avere, la sua voce è un po’ alterata, ma la sua risposta mi fa capire che è il Bertozzi di sempre, lucido e freddo: mi comunica infatti l’indicazione dell’altimetro interno di cabina non essendo sicuro dello stato del tubo di pitot esterno.

Vengo guidato diritto sull’aeroplano che incrocio muso contro muso un po’ come quelle sequenze divenute famose in “Top gun”, ma lo vedo e non lo mollo più con gli occhi, tira gira spingi, ed eccomi al suo fianco.

Viaggia fortemente derapato a sinistra, la tanica sinistra è squarciata; non vedo, anche con i miei fari, niente altro di rimarchevole, controlliamo i dati di volo, carrello, flaps ecc. e ci dirigiamo verso Torino Caselle perché Cameri, nel frattempo, era scesa sotto le minime meteo per la visibilità. Il suo carburante era ormai agli sgoccioli mentre il mio velivolo era strapieno. Ultima diversione, Cameri è risalito vicino alle minime perciò dirigiamo a casa. Effettuo un GCA (Ground Controlled Approach) con la voce amica e rassicurante del Cap. Selvaggio, portato avanti da parte mia a colpi di postbruciatore a causa dello spaventoso angolo d’attacco dovuto al mio peso rispetto a quello di Bertozzi e, quando vedo aprirsi il parafreno dell’amico sulla pista, riattacco con il postbruciatore e mi riporto all’atterraggio con un altro circuito GCA.

Intanto cominciano le ricerche dei due velivoli scomparsi; il radar fornisce le coordinate degli ultimi rilevamenti dei trasponder e non passa molto che giunge la telefonata di Burello. Al momento dell’attacco, visto che la configurazione del radar non cambiava e non potendo vedere il bersaglio perché con il postbruciatore spento, procedeva alla rottura senza molta convinzione, ed un 104 a Mach 2, se non lo si tira con due mani, non cambia traiettoria. Sfiora una tanica del target e tutto diventa ingovernabile.

Attiva il seggiolino ma dimentica di tirare il pomello verde a forma di mela per attivare l’ossigeno; appena fuori sviene per carenza di ossigeno e perde un guanto.

Si risveglia sotto la pioggia appeso con il paracadute ad un albero, a pochi centimetri da terra con una mano congelata. Si svincola, incontra una vettura ferma con i vetri appannati, convince i due all’interno che non è un marziano e nemmeno il mostro di Firenze e viene portato alla vicina stazione dei Carabinieri. Burello non tornerà più in volo e lascerà l’Aeronautica per tornare in Friuli.

Non molto distante verrà trovato Caranti impigliato anch’egli ad un albero. Appena sentito l’impatto si sparava fuori ma così in fretta che un pezzo di velivolo lo colpiva alla fronte. Moriva sul colpo e scendeva già morto.

Bertozzi riprendeva a volare ed il velivolo dell’incidente MM6598 veniva accuratamente riparato presso il locale centro di manutenzione e rimesso in linea di volo.

È il 9 giugno dello stesso anno, parte del gruppo di volo è in Squadron Exchange in Germania. Viene organizzata una Flight per il sorvolo del 3° Salone Aeronautica e Spazio di Torino. In aeroporto ci sono ospiti per una visita.

Bertozzi vola come fanalino sullo stesso velivolo dell’incidente ed a un certo punto dichiara di essere a corto di carburante. Procede da solo all’atterraggio, chiede un’apertura bassa, si avvicina alla pista con i flaps su T.0. (mezzi flaps): procedura inusuale. Arrivato sulla pista il velivolo dovrebbe cabrare una quarantina di gradi ed inclinarsi di ottanta per portarsi sottovento. Bertozzi effettua un John Derry ed anziché virare a sinistra di 80 gradi vira a destra di 280 gradi (trequarti di tonneau). Da rovescio, molto vicino al suolo, forse percependo di non essere sufficientemente cabrato spinge la cloche bruscamente in avanti; con i flaps su T.O. e G negativi il 104 va in precessione inerziale. Il velivolo da rovescio ruota attorno all’asse verticale di 90 gradi e quasi si ferma per aria; Bertozzi si lancia da rovescio e si schianta contro il suolo. A pochi metri da lui il velivolo che aveva portato a casa quella notte.

Paolo Ceccarelli 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *